C’è un articolo, su Il Fatto Quotidiano, a firma del prof. Ivan Cavicchi, docente all’Università di Roma Tor Vergata ed esperto di politiche sanitarie, che mi ha molto colpita. “Sanità pubblica addio. Perché sostituirla se è la migliore (e più conveniente) per tutti?”, questo è il titolo di questo pezzo, una strenue difesa al Servizio Sanitario Nazionale, un attacco ai governi che si sono succeduti nel corso degli ultimi anni, da Berlusconi a Renzi, e soprattutto un attacco alla sanità integrativa, che il professore chiama – senza fare grandi distinzioni – mutue. Già il titolo mi pare sbagliato. Perché nessuno vuole sostituire il Servizio Sanitario Nazionale.
La sua tesi è fondamentalmente questa: La sanità pubblica è il sistema più conveniente da ogni punto di vista, costa di meno, dà di più ed è la più giusta. Accusa il governo di togliere soldi al SSN, per finanziare quelli che lui reputa i soggetti più forti della società, le mutue di categoria. “Come mai con i soldi della collettività si finanziano politiche contro la collettività?”, si chiede.
“Sostituire l’assistenza pubblica con le mutue o con i fondi sanitari integrativi è un taglio drastico alla spesa sanitaria”, accusa. “A Renzi dei soggetti deboli (precari, disoccupati, pensionati, ammalati cronici, etc) non gliene frega niente. Lui è convinto che la sanità pubblica sia insostenibile, le mutue gli servono per tenere buoni i soggetti forti della società e per fare in modo che il sistema sanitario pubblico copra solo coloro che non possono curarsi nel privato e coloro che non possono farsi una mutua, cioè la parte debole della società”. E ricorda che già il ministro Sacconi, durante uno dei governi Berlusconi, aveva tentato di realizzare un sistema multi-pilastro, composto dalla sanità pubblica, quella privata e le mutue/assicurazioni.
Ora, rispetto le idee del prof. Cavicchi, non metto in dubbio che sia un grande esperto di politiche sanitarie e che sappia quello che sta dicendo. Ma la nostra sanità pubblica – tranne per alcune eccellenze, che per carità, ci sono, è ridotta male. Per i tagli dei governi, certo. Ma anche perché l’età media si è alzata, siamo più vecchi e bisognosi di assistenza. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Istat in questi giorni, gli individui di 65 anni e più superano i 13,5 milioni e rappresentano il 22,3% della popolazione totale; quelli di 80 anni e più sono 4,1 milioni, il 6,8% del totale, mentre gli ultranovantenni sono 727 mila, l’1,2% del totale. Gli ultracentenari ammontano a 17 mila. Per gli uomini l’aspettativa di vita si attesta a 80,6 anni (+0,5 sul 2015, +0,3 sul 2014), per le donne a 85,1 anni (+0,5 sul 2015, +0,1 sul 2014).
Dobbiamo anche considerare l’alto numero di immigrati che il Paese sta accogliendo, ovviamente bisognosi di assistenza. La spesa sanitaria, lo sappiamo bene, è rimasta sostanzialmente immutata negli ultimi anni (la spesa pubblica pro capite è tra le più basse dei sistemi occidentali). In più bisogna considerare le forti differenze tra il nord e il sud del paese. Se al nord si trovano diverse eccellenze, anche nel pubblico, al sud la situazione non è tra le migliori. Certo, è legittimo sperare, desiderare un Servizio Sanitario Nazionale che offra assistenza a tutti, in maniera efficiente, senza sprechi, senza attese. Facciamolo funzionare meglio, dice Cavicchi. Certo. Giustissimo. Ma infatti i governi devono impegnarsi al massimo per garantire assistenza sanitaria pubblica. Nessuno vuole soppiantare il Servizio Sanitario Nazionale, ma attualmente ci troviamo in una situazione quasi fuori controllo. Ed essendo anche in una situazione economica difficile, con il fiato sul collo dell’Europa e un debito pubblico che andrebbe abbattuto, come se fosse un grande mostro, è necessario anche ripensare i nostri sistemi di welfare. Il nostro sistema sanitario è tra i migliori del mondo, si dice spesso. Lo è stato, certo. Lo è ancora? Forse sì, ma quel che è certo è che non riesce più a sostenere tutto il peso, certo anche per colpa delle politiche degli ultimi anni, della burocrazia, degli sprechi. Serve una integrazione, un supporto. Che non vuol dire una sostituzione.
Il sistema multi-pilastro non è un mostro. Checché se ne dica, piaccia o meno, è il futuro del nostro welfare. E non sono solo “le mutue”, come le chiama con un velo quasi di disprezzo il professor Cavicchi. Il primo pilastro, la sanità pubblica, deve riorganizzarsi, con l’aiuto di politiche sagge, senza sprechi, che mirino all’efficienza. E deve esserci sempre, per garantire il diritto alla salute soprattutto alle fasce più deboli della popolazione. Tutti devono impegnarsi perché funzioni al meglio, lo Stato in primis, investendovi risorse. Poi c’è il secondo pilastro: la sanità integrativa. Fondi sanitari e società di Mutuo Soccorso, non a scopo di lucro, possono integrare il sistema sanitario pubblico, offrendo assistenza guidati dai principi di solidarietà e reciprocità, e favoriti anche da vantaggi fiscali. Poi certo, c’è la sanità privata, per chi può e vuole spendere, erogata pagando direttamente i servizi sanitari o tramite polizze assicurative.
Se vogliamo è un fatto matematico: lo Stato già da tempo, per le mutate condizioni economiche e sociali, ha dovuto concentrare le politiche di welfare sulla tutela delle fasce più deboli della popolazione. E andando avanti lo dovrà fare sempre di più, per questo per le fasce meno deboli ci deve essere una alternativa. Il SSN c’è e ci sarà sempre, ma è necessario colmare il gap tra quanto riuscirà a garantire a livello di cure e assistenza e le reali necessità delle persone.
Quindi, non si vuole, come sostiene il professore nel suo pezzo, “sostituire l’assistenza pubblica con le mutue e i fondi sanitari”. Non è così. Si tratta di una integrazione, un supporto. E poi, per chi può e chi vuole, ci deve essere la sanità privata, come è legittimo in un paese liberale. Questo anche per cercare di abbattere le maledette liste di attesa, una delle note dolenti del sistema sanitario pubblico. In alcune regioni fino a 500 giorni per una risonanza, un anno per una mammografia o una tac, nove mesi per un controllo oculistico. Chi mai farà prevenzione, se per ogni controllo deve attendere mesi? Nessuno.
“Ma fare tante specie di sistemi sanitari non rischia di creare delle diseguaglianze e di contraddire il valore egualitario dell’art 32 della costituzione?”, chiede Cavicchi. Al massimo è il contrario. È il Servizio Sanitario Nazionale che per come stanno le cose mette a rischio il rispetto, per tutti, dell’articolo 32 della Costituzione. Certo, si può e si deve fare molto di più. Ad esempio, affinché il nuovo sistema di welfare sia il più sostenibile possibile, sarebbe certo importante realizzare un Tariffario Medico Nazionale, che preveda un costo definito per ogni prestazione, garantendo costi certi, per la sanità pubblica, per gli enti del secondo pilastro e per le compagnie assicurative.
I neo-mutualisti (???), secondo Cavicchi, sostengono che grazie al welfare aziendale si risolve una volta per tutte la questione della sostenibilità sanitaria, è vero o non è vero? Per il professore è una balla. E invece il welfare aziendale, offrendo la possibilità di avere una copertura sanitaria, è un’ottima opportunità per i lavoratori e per le imprese, e garantisce vantaggi fiscali, economici ed organizzativi. Ma è anche un vantaggio per lo Stato in termini economici, di welfare, di organizzazione sanitaria. Non si pretende che il welfare aziendale risolva tutti i problemi di sostenibilità sanitaria, ma certo è un passo avanti.
Quale sarebbe la soluzione, per rendere questa sanità pubblica efficiente, rapida, senza sprechi, senza liste di attesa? Perché è facile parlare, scrivere, sentenziare, se poi una soluzione concreta non viene proposta. I governi hanno fatto i tagli a favore delle “mutue”. Balle. Ci sono gli incentivi, è vero. Ma non penso che buttando solo soldi dentro il Ssn si possa arrivare davvero ad avere una sanità pubblica che garantisca assistenza e cure a tutti, senza attese, soprattutto. La sanità pubblica sta lì, non la tocca nessuno, sta a cuore a tutti e nessuno la vuole sostituire, caro prof. Cavicchi. Solo aiutare.
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